Origone e il K2 sfumato

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Daniele Nardi l’alpinista che viene da Sezze e che vede il Tirreno dalle colline, cancella così la fatica di Michele Cucchi e Simone Origone: «E adesso tutti a Sabaudia, in spiaggia. Ho già prenotato». Cucchi e Origone sono scesi a ore sfalsate da quota 8000 del K2 e ora sono al campo base a disfarsi il più in fretta possibile degli scarponi.

E nei pensieri di Michele, il “Longhez” di Alagna c’è ancora la paura che come un brivido di gelo lo ha invaso agli 8611 metri della cima. «Ho cominciato a scendere insieme con i due pachistani Jan Saqiq e Jan Hassan alle 16,40, dopo 20’ che eravamo lassù. Loro hanno pregato, uno in particolare. E io ho partecipato, ero emotivamente coinvolto. Questa è la loro montagna simbolo e ha un profondo significato religioso. Mi piaceva sentir pregare. Ma poi ho cominciato a riflettere sul buio. Se ci avesse colto sul traverso che cosa sarebbe accaduto? Per fortuna le tenebre sono arrivate al campo 4».

Riaffiora nella mente di Simone quel momento in cui ha deciso di rinunciare, mentre saliva in direzione del “Collo di bottiglia”: «Ho messo due zuccherini in bocca, era dal giorno prima che non mangiavo niente, davo di stomaco e anche bere era impossibile. Stavo salendo e poco dopo che lo zucchero è arrivato nello stomaco è tornato su. Erano le 2 del mattino e mi sono detto “ma dove vai in queste condizioni?”. Ho girato i tacchi e mi è dispiaciuto, ma avrei rischiato di tornare di notte… Avrei rischiato la vita».

Cucchi commenta quella fascia battezzata “traverso” che passa sotto il seracco, ci gira attorno e risale poi sulla spalla: «È duro, durissimo non pensavo fosse così ripido. E poi c’era l’insidia della neve e del ghiaccio. Si sprofondava fino al ginocchio in neve fredda, della consistenza dello zucchero e sotto c’era ghiaccio vivo. Un passaggio tecnico che non pensavo di trovare, non così almeno». Mentre lui era concentrato nel fare i passi giusti e nell’assicurarsi, Origone rientrava al campo 4, certo di aver fatto la scelta giusta ma amareggiato: «Sfiga. Stavo pensando che forse sarebbe bastato ingoiare un farmaco antinausea, ma ora penso che le forze non le avrei forse più avute, già avevo bruciato energia tra i campi 3 e 4 dopo ore senza cibo. E il K2 è enorme, mutevole, noi eravamo in una piccola bufera al 3, mentre gli altri più su non avevano neanche un filo di vento. Ma se non fossi stato male come avremmo fatto per mettere in salvo Muhammad Hassan?».

Il pachistano era in edema cerebrale e a campo 4 Daniele Nardi gli aveva dovuto infilare gli scarponi. «Dovevo subito farlo scendere e così ho fatto per potergli far passare la notte più in basso possibile – dice Simone -, cioè ai 7300 metri di campo 3. È stato un calvario, si sedeva ogni 10 metri e ci diceva “lasciatemi qui”». Ora sta meglio, il suo cervello ha ripreso lucidità, festeggia con i sei connazionali arrivati in cima, abbraccia in continuazione Simone.

Sia il campione di sci di velocità sia Michele Cucchi sono guide del Monte Rosa. Entrambi mostrano di essere stati choccati dalle spedizioni commerciali. «Guardavamo questi alpinisti, anzi turisti – commenta Simone -, e ci dicevamo “ma dove vanno?”, poi ci siamo detti prima di partire per i campi alti “vuoi vedere che loro in vetta ci arrivano e noi magari no”. Ho avuto ragione, almeno per me. È una questione su cui riflettere, spaventa questo modo di far montagna».